TEATRO DELLA PIOGGIA

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Padrone e servitore – 2005

tratto da Padrone e Servitore di Lev Tolstoj
con Massimiliano Balduzzi
regia e drammaturgia Anne Zénour
realizzato alla Corte dei Miracoli (Siena) nel 2005; presentato a Siena, Buti e vari teatri e centri culturali in Italia

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“E Vassili rammenta che c’è Nikita sdraiato sotto di lui e che è caldo e vivo e gli pare di essere lui Nikita e che Nikita sia lui e che la propia vita non sia in lui ma in Nikita. “ Nikita è vivo, dunque sono vivo anche io”, dice tra sé, pieno di esultanza.
E più nulla, da quel momento, vide, udì, e sentì in questo mondo Vassili Andrèic.”
Brechunov, il ricco mercante che è sempre riuscito nella vita, non può credere che un uomo come lui debba all’improvviso morire, perché si è smarrito una sera nella neve russa. “Non è possibile.” Abbandona la slitta e il suo servitore Nikita già mezzo congelato, fugge nella notte, gira in tondo, e torna ‘per caso’ alla slitta dove Nikita, mezzo svestito e che non fa tante storie per morire, sprofonda nel freddo della morte…

Questo racconto, come altri racconti più famosi di Tolstoj, ci parla del terrore dell’uomo davanti alla morte. La prova viene affrontata da due tipi d’uomini: il padrone, Vassili Andrèic, uomo arricchito, sicuro di sé, vanitoso, nervoso, che non teme né dio né diavolo, e il servitore, Nikita, uomo umile, paziente, e sapiente, di un sapere popolare messo a confronto continuamente con le durezze della vita. Si trovano presi, per colpa dell’avidità del padrone, che vuole raggiungere a tutti costi un villaggio per concludere un affare, in una spaventosa tempesta di neve nella steppa russa.
Il racconto è come immerso in una specie di sogno dove tornano sempre gli stessi posti, è un girovagare nella neve e nella notte, tra il mondo degli uomini, familiare, caldo, illuminato, intravisto nel villaggio dove capitano più volte per sbaglio, e la tenebra biancastra del fuori, dove urlano i lupi, dove si agitano nella tempesta le piante, gli arbusti, le erbe, in preda anch’essi ai tormenti di una morte imminente.
Il mercante, sentendo avvicinarsi la morte, vede volar via, come in una fiaba, tutti i suoi averi, come se non fossero niente, meno di niente. E cosa gli resta? Solo di sdraiarsi sul suo servitore per tenergli caldo: lo fa, trova pace e muore.
Il temperamento dello scrittore russo, appassionato, impetuoso, mordente, il suo amore per la “piccola gente”, per gli animali, per le piante, per la vita quotidiana descritta nei suoi minimi particolari, la sua severità verso tutto ciò che è fatuità e ignoranza, danno a questo racconto una vitalità che non si è per niente smorzata con il tempo.

Tolstoj si è sempre colpevolizzato per la propria situazione estremamente privilegiata da grande proprietario terriero, situazione dalla quale riuscirà a staccarsi solo alla fine della vita quando scapperà letteralmente di casa, a piedi, di notte, e finirà per morire nella sala di una stazione ferroviaria a qualche chilometro da casa sua, avendo accanto solo la figlia e un’impiegata della stazione.
Scriveva nel suo diario:Il fatto di vivere in famiglia in condizioni di lusso orribilmente vergognose quando si è circondati dalla miseria, non smette di tormentarmi ogni giorno di più… Oggi ho deciso di fare quello che mi proponevo da molto tempo: andare via…Il motivo principale è questo: come gli Indù, arrivati all’età di sessanta anni, vanno nella foresta, come ogni uomo vecchio desidera consacrare gli ultimi anni della sua vita a Dio e non agli scherzi, alla maldicenza e al tennis, così io, giunto al mio settantesimo compleanno, desidero con tutte le mie forze la calma, la solitudine, e anche se non l’accordo perfetto, almeno qualche cosa di diverso da questo disaccordo stridente tra la mia vita, le mie convinzioni e la mia coscienza.

Il narratore, in veste di giovane contadino arruolato nell’esercito, trasporta gli spettatori nella steppa russa con la sua sola voce, una sedia e qualche oggetto: per lui la sedia è alternativamente il sedile della slitta, quello del padrone o quello del servitore, o una panca nella allegra casa dei contadini. Il cavallo, la strada, corrono davanti e dietro di lui e tutto attorno c’è la neve alta dove sprofonda con i suoi poveri stivali. La casa dei contadini viene evocata da un tavolo coperto da uno scialle rosso, dove il giovane accende una lampada a petrolio e prende il tè, bevendolo “alla russa”, immergendo una zolletta di zucchero nel liquido caldissimo, mentre si sentono le voci della vecchia contadina, del giovane appena sposato, dell’allegro nipote e di altri mescolarsi in un gioioso vocio. Poi di nuovo immerso nel buio e nella tempesta, fa luccicare qualche fiammifero per accendersi una sigaretta presto spenta dal vento.

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Corte dei Miracoli – via Roma 56 – 53100 Siena

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